.Incontrai il giovane Zlatko mentre ero intento alla preparazione della gita sul Sabotino.
Ricordo che in quella occasione si era innescata una travolgente reazione a catena. Un amico di Gorizia mi aveva portato sul suo monte prediletto, io stupito dalla sua aspra bellezza ne ero rimasto perdutamente ammaliato e poi, parlandone in giro, avevo involontariamente trasmesso l'infatuazione a parecchi amici della Trenta Ottobre. A quel punto, il ricavarne una gita sociale era diventata una scelta quasi obbligata. Numerosi sono stati i successivi sopralluoghi, tutti molto belli e gratificanti, estesi anche ai panoramici prati del Corada. Mi occorreva, per finire bene l'itinerario, un buon punto di fine-gita dove gli escursionisti potevano trovare anche un confortevole posto di ristoro.
Fu così che, un pò per caso e un pò per calcolo teorico, un giorno giunsi all'appartato paese di Plava d'Isonzo e alla sua trattoria al di là del ponte. Con circospezione entrai nel locale, provando quel particolare insieme di timore e attrazione che spesso mi prende quando m'avventuro su quei sentieri, specie se umani, che non so ancora dove mi conduranno. Un "ena kava", chiedo per iniziare ma poi mi presento e spiego, all'intera famiglia già convenuta, sul perchè avrei bisogno da loro di qualche buon consiglio.
Dopo mezz'ora la situazione è di molto cambiata: mi ritrovo che, salutati affettuosamente dalla madre, sto salendo sulla jepp condotta dal padre, assieme al figlio che, in stentato italiano già mi confida, fotografie alla mano, di quali monti si è finora più innamorato. Abbiamo a lungo cercato un vecchio sentiero ormai sopraffatto nell'uso dalla strada asfaltata che volevo cercare d'evitare. E fu così che, mentre scendevamo insieme lottando con istintiva intesa contro il bosco abbandonato e inselvatichito, ho potuto conoscere il giovane Zlatko e tutto il suo buon carattere. Non è stato facile per noi uscire da quella ingarbugliata nuova jungla che non possedeva più nessun sentiero utile per la mia gita. Alla fine, mentre lui mi mostrava con orgoglio l'affrescata chiesa del suo paese, eravamo entrambi graffiati, bagnati e sconfitti ma in fondo pure contenti perchè avevamo però trovato una facile scorciatoia per diventare dei buoni amici.
Un mese dopo la gita sul Sabotino, la più bella fra quelle che finora ho organizzato, si concludeva felicemente nella "trattoria presso il ponte sull'Isonzo". Fra la gente serpeggiava lo stesso mio iniziale stupore e ammirazione per la grande bellezza del percorso che aveva compiuto e già parlavano di tornarci con parenti e conoscenti. Nella consueta confusione della partenza riuscii appena a salutare i cari genitori; all'amico Zlatko invece, per ringraziarlo di tutto, regalai una bella carta dolomitica, che sapevo capace di farlo poi fantasticare e sognare. Lui ricambiò il mio dono facendomi un'inaspettata proposta: "Vuoi che andiamo insieme sul più bel monte vicino a casa mia ?"
Non ci pensavo più, altri progetti, altri monti, la quotidiana vita cittadina con i suoi impegni mi avevano distratto. Ed invece una mattina squilla il telefono e risento la dolce voce della mamma che mi invita, a suo nome, di andare con lui nientemeno che sul monte Nero, sopra Caporetto. Facile indovinare quale fu la mia risposta.
Due giorni dopo, trascinato dall'entusiasmo per una probabile bella gita che non prevedevo più, alle quattro mi ritrovo davanti alla trattoria di Plava, un posto che mi è diventato ormai famigliare. Quindi il lieto incontro con Zlatko e un suo coetaneo paesano, il magico formarsi di uno strano trio che un pò pazzamente, a notte fonda, s'avvia. La mia macchina la lasciamo a Dresenza e poi in jepp si va in val Lepena e da qui, al primo chiarore dell'alba, la nostra escursione in montagna può iniziare.
E' da poco che saliamo nel bosco e sono già in affanno; eppure il sentiero non è più duro di tante altre volte: forse è a causa del fitto dialogo fra di noi, fatto di verbi all'infinito e divertente ricerca di capirci, provocato dalle loro continue domande curiose. Quasi all'improvviso arriviamo al grande e moderno rifugio. Il sole non è ancora sorto oltre le alte montagne, ma dentro c'è già parecchio movimento. Sento in me di nuovo il fascino derivato dal posto, lingua e gente sconosciuta ma nessun timore perchè so d'essere con due premurosi accompagnatori. Ci concediamo solo un breve ristoro e poi via, per raggiungere il vicino lago glaciale, che mi sembra ancor più incantevole di come l'avevo immaginato. Le tre foto di rito, fatte a coppie alternate, mi fanno capire che l'intesa fra noi tre si sta sempre più consolidando. Arrivati ad un vasto pianoro, il monte Nero, illuminato dal sole nascente, mi appare molto alto e lontano e ci sollecita a riprendere il cammino.
Ora s'inizia a salire sul serio: il sentiero non è difficile, ma in costante, discreta pendenza. Ad un bivio ci concediamo una piccola pausa, scambiandoci la rispettiva merenda. Loro, forse sorpresi di vedermi arrancare ancora bene mi propongono, insinuanti, se voglio fare un'altro monte in supplemento; io, disinvolto nell'apparenza ma incerto nel mio interno, spregiudicato assecondo l'idea. E' da un bel pò che si va sempre su, ora fra noi si parla molto meno. Il nostro è proprio uno strano trio: loro due, che sommando gli anni non arrivano alla mia età, s'innalzano, con il freno a mano tirato, simili ad agili caprioli, io, che ho innestato la ridotta, un pò rallento ma tenacemente continuo a sudare e salire. Quando finalmente raggiungiamo la vetta, dai grandi massi sconvolti da una assurda guerra di mine, intuisco che siamo arrivati sul monte Rosso. Infatti il monte Nero, circondato da uno stupendo scenario di monti, mi appare ancora distante, al di là di una profonda sella. Del filo spinato arruginito, una lapide con dedica, tanti gradini intagliati nella roccia mi fanno ricordare, nel concreto, le vecchie foto viste in un recente libro di guerra Dopo la sella c'è ancora da penare per l'ultimo strappo in salita, che mi sembra non dover mai finire.
Ma la fatica scompare quando finalmente li raggiungo lassù, in cima al monte Nero: soddisfatti per l'impresa riuscita, con gioia ci stringiamo la mano. Da qui la vista è davvero stupenda: quasi non riesco a riconoscere i pur conosciuti profili dei miei grandi monti, che sembrano ridotti a tante piccole gobbe che movimentano un immenso scenario circolare e l bel lago dover eravano due ore fà, ora sembra solo una minuscola macchia d'azzurro. E, per me,' un momento di malcelata, intensa commozione, loro capiscono che è del tutto genuina e ne sono, a loro volta, contenti.
La salita al monte Nero è appena compiuta e già incomincia la preoccupazione per la discesa. Poco sotto la cima c'è un'altro rifugio: nonostante la quota, è grande e accogliente. C'è parecchia gente che proviene da altre direzioni, ci sono gli immancabili triestini con cui posso parlare nel mio dialetto, c'è la fraterna allegria che scaturisce dalla comune passione per la montagna. C'è però anche la verde valle, tanto bassa e lontana, che senza scampo dobbiamo ora raggiungere.
Discendiamo a lungo, la mulattiera di guerra è facile e segnata, ci vuole solo tanta pazienza. Ci fa compagnia il camminare immersi in un grandioso ambiente montano, serenamente chiacchierando su tante cose. Ad un tratto però mi chiedono, scusandosi, di potersi per un pò allontanare: sono deluso quando li vedo dileguarsi, a doppia velocità, sempre più giù, a capofitto. Poco dopo però li riprendo, mentre stanno contemplando e studiando, tutti seri e concentrati, una difficile parete che prima o poi vorrebbero affrontare. "Non lo dire alla mamma, altrimenti si preoccupa" mi implora Zlatko: io, sapendolo assennato, lo rassicuro e constato che sono bastate queste poche ore trascorse insieme per farmi coinvolgere in così fraterne complicità montane. Ecco, siamo finalmente arrivati in fondo, a Dresenza. Sono un pò stanco, ma non importa, per concludere questa lunga gita ora basterà usare macchina e benzina.
Ora sono di nuovo davanti alla trattoria di Plava: con il buio sono arrivato, con il buio me ne andrò via. Una splendida giornata in montagna sta finendo ed è giunto il momento del congedo. Lo strano trio si separa ripromettendosi qualche altra gita, la mamma, osservando che il figlio non parla più l'italiano con i verbi all'infinito, sorridente mi ringrazia, il papà mi invita all'interno per un'ultimo brindisi finale. Accetto con piacere e mi sembra bello che per farlo mi abbia fatto entrare non nella trattoria, ma nella cucina di famiglia.
Ritornato a Trieste, la solita vita riprende: casa, lavoro, altre belle gite, ma quella sul monte Nero resta per me la speciale.
Un collega che apprezza solo il mare spesso mi dice, per scherzare, di non capire perchè amo andare in montagna e mi esorta, vista l'età, a lasciare. Certo se ripenso a quante volte, perlustrando nei boschi, mi sono graffiato, bagnato e perduto, o a quella panoramica cima, da tempo sognata, che dopo ore di fatica raggiungo proprio quando è calata la nebbia, e alle zecche con cui il Carso sta ricambiando il mio amore, non posso dargi torto. Però poi il mio pensiero ritorna al gran silenzio del bosco che mi rasserena quando vado da solo, con me stesso, o al panino che contento mi gusto quando che assieme a pochi amici abbiamo raggiunto la meta, o all'allegra confusione che regnava quando in cento della Trenta siamo andati a spasso sul Carso. E' difficile spiegare agli altri le proprie sottili ma intense emozioni e al collega non riesco a dare una chiara risposta.
Un'altro anno è passato e la stessa storia capitata con il Sabotino si è ripetuta con il monte Nero. La Trenta Ottobre ha messo in calendario una gita sul mio monte prediletto, io con la scusa del doveroso sopralluogo sono tornato a rifare il percorso con i miei più cari amici triestini, fra poco ci sarà la nostra gita ufficiale. Ho contattato e convinto Zlatko a portare in cima i più bravi lungo un'ardita ferrata. Quando ci rincontreremo lassù, in cima al nostro monte e contenti fraternamente ci stringeremo di nuovo la mano, lo inviterò a venire assieme a noi nella mia prossima gita, in val Montanaia. Vista la mia età e la bravura dovrò aspettarlo alla base, ma sarò egualmente soddisfatto quando lo sentirò suonare da lassù la campana del campanile più bello del mondo. Spero che lui accetti, spero che le due gite riescano bene e tutti ne siano contenti, spero che questo mio discorso, fatto di magica intesa con la gente che incontro, non debba mai esaurirsi. Mi basta che tutto questo continui ancora così, in modo sempre uguale e sempre nuovo, finchè mi resterà la voglia e la forza.
Forse ho trovato la risposta che potrei dare al collega: amo andare in montagna perchè essa è ancora così forte da riuscire ad innescare intorno e in me, una travolgente reazione a catena.
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